venerdì 22 settembre 2017

Vino di nicchia: il Montonico di Bisenti - "le petit champagne abruzzese"




 Quando tra il 1798 e il 1799 le truppe napoleoniche entrarono in Italia, in Abruzzo i francesi si imbatterono nella coltivazione di un vitigno autoctono della zona dell'entroterra teramano, il 'montonico'. Trovarono il suo vino così fresco, armonico e profumato da ribattezzarlo "le petit champagne" e da chiederne forniture per i vari distaccamenti nella regione. Il montonico ebbe così il suo momento di gloria destinato a tramontare con la Seconda guerra mondiale, quando fu quasi completamente distrutto dalla fillossera, ma anche dalla moda dei vitigni internazionali, più facili da coltivare e meno problematici dell'autoctono montonico.

Sono in pochi a conoscere il montonico, ma la sua storia è antica e importante. Una fonte risalente al 1615 del Catasto Onciario testimonia che già in quel periodo, nel territorio teramano di
Bisenti, esistesse un vitigno con questo nome. Durante i secoli è stato più volte citato come vitigno molto produttivo e buono da mangiare. La sua fama è sempre stata legata non tanto alla vinificazione, quanto alla produzione di uva da tavola.
Fino agli anni Sessanta il montonico era ampiamente diffuso in Abruzzo, ma da quella data in poi la sua area di coltivazione è andata sempre più restringendosi e oggi rimane presente prevalentemente nella zona di Bisenti e Cermignano dove anche in passato ha avuto la maggiore estensione di coltivazione. Si è adattato bene nei secoli all’areale a ridosso del Gran Sasso, cresce ad un’altitudine che può superare anche i 500 metri sul livello del mare. È infatti un vitigno molto vigoroso, che grazie alle sue innate doti di adattamento ha trovato in queste zone la sua giusta identità.
Le avversità pedoclimatiche (clima freddo invernale e terreni duri, ciottolosi, calcarei) gli hanno donato le tipiche caratteristiche organolettiche. Ha un grappolo grande, allungato, dalla forma quasi cilindrica e gli acini sono grossi e rotondi con buccia spessa e consistente di colore giallo verdognolo. Tollera bene gli attacchi di botrite ed ha polpa abbondante: il mosto che se ne ottiene è di colore giallo paglierino scarico tendente al verdognolo, fresco e floreale al naso. La piena maturazione avviene alla fine di ottobre e il pregio di questa uva è quello di resistere bene all’appassimento Tradizionalmente si mangiava fresca o passita e si trasformava in vino e aceto – ha rappresentato per secoli un’importante fonte di sostentamento e reddito per la popolazione di questa zona povera e montana alle pendici del Gran Sasso. Oggi questa produzione rimane residuale, le vigne degli abitanti della zona sono sempre più abbandonate e il poco montonico coltivato viene utilizzato come uva da tavola oppure legato, grappolo per grappolo, e appeso alle travi delle case e lì lasciato appassire fino al periodo natalizio quando se inizia a consumarlo.
Vigne del teramano

Sembrava esere la fine per il 'piccolo champagne abruzzese', la cui coltivazione era ridotta a poche piante rimaste un po' per caso negli orti e nei terreni dei contadini di Bisenti e Cermignano. Almeno fino a quando un gruppo di quattro imprenditori non si è messo in testa di recuperare il vitigno per produrre l'Abruzzo Doc Montonico. Un'impresa non da poco, visto che "ne rimanevano pochissime piante e mischiate con altri vitigni, quindi si è dovuto procedere con un lavoro di recupero della purezza del montonico", spiega all'Adnkronos Elisabetta Di Berardino, socia dell'azienda agricola La Quercia.
"Ma il problema più grave -aggiunge- era che oltre alla quantità, era scarsa anche la qualità di quel poco montonico ancora prodotto, affidato non a professionisti ma a singoli che magari avevano due o tre piante nell'orto e si dedicavano alla produzione del vino a tempo
perso, facendo più danni che altro, soprattutto per un vitgno raro che non si conosce e non ha termini di paragone per capire se è il produttore che non ha fatto un buon lavoro o se la colpa è del vitigno".
Primo passo per salvare il Montonico dall'estinzione, andare casa per casa a chiedere le marze (o gemme) della vite da innestare, scontrandosi con la ritrosia dei locali, "si è fatto fatto un lavoro anche a livello sociale, intessendo relazioni". Ottenute le gemme, si è reimpiantato il vigneto e si è proceduto con la selezione dei grappoli e le prove di vinificazione, di appassimento e di spumantizzazione "per assicurarci che valesse davvero la pena di recuperare il vitigno".
Prova superata, così la prima annata di vino montonico fermo è
uscita nel 2006, poi è stato sperimentato il metodo champenoise, il primo uscito nella primavera 2013 con annata 2010, e i risultati, sono eccezionali e fanno onore al soprannome che i francesci avevano attribuito al montonico. Un lungo lavoro grazie al quale, praticamente da niente, oggi in totale si producono circa 300 quintali di montonico l'anno "è davvero poco, si è ancora all'inizio e c'è tanto da fare, ma qualcosa inizia a muoversi".Speriamo bene..................

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