Le
leggi che nel secondo dopoguerra vennero stabilite per regolare la
produzione vinicola italiana furono di natura tale da risultare, se non
assurde, comunque assolutamente inadeguate alla ricchezza e varietà
della realtà
del nostro Paese, e furono dettate principalmente dall'esigenza di
soddisfare la grande impennata dei consumi che contraddistinse quel
periodo storico italiano.
La
legislazione che successivamente ha introdotto via via le varie
Denominazioni di Origine Controllata (D.O.C.) purtroppo non ha
migliorato di molto la situazione poiché non è andata nella direzione
del perseguimento della qualità: le zone geografiche ammesse sono quasi
sempre troppo estese per riflettere le peculiarità dei territori, e i
"paletti" qualitativi fissati sono sbilanciati verso il basso: per fare
un esempio, i limiti di produzione dei vigneti (definiti mediante la
resa per ettaro delle viti) sono spesso eccessivamente alti, a discapito
della qualità finale del prodotto.
Questo
stato di cose ha avuto effetti particolarmente negativi in Toscana, in
quanto ha contribuito a deprimere le grandissime potenzialità del suo
territorio incentivando la produzione di vini mediocri.
È
stato a questo punto che alcuni produttori hanno deciso di realizzare
vini ignorando le regole codificate dalle D.O.C., e cioè sfruttando al
meglio le peculiarità del proprio territorio, lavorando in vigna in modo
da ottenere bassissime rese per ettaro, adoperando botti diverse
rispetto a quelle tradizionali e soprattutto concedendosi la massima
libertà nell'uso di vitigni non ammessi dalle D.O.C ma che ci si poteva
aspettare potessero dare buoni risultati.
Grazie
a queste sperimentazioni, costituite da ricerche in vigna e in cantina
di altissimo livello (che, è bene sottolinearlo, hanno i loro costi e
possono essere eseguite da aziende in grado di sostenere forti
investimenti) sono stati ottenuti vini diventati presto prodotti di
punta i quali, pur potendosi chiamare con il semplice nome di "vino da
tavola", hanno scavalcato di gran lunga (in valore assoluto e nel
prezzo) i prodotti D.O.C. e le relative "riserve" delle rispettive
aziende, andandosi a collocare spesso ai vertici dell'enologia mondiale.
Il nome con cui si suole indicare questi "super vini da tavola" è
quello di Super-Tuscan.
Dopo
i primi prodotti "pioneristici" la produzione dei Super-Tuscan ha
dilagato, e sarebbe troppo lungo farne un elenco: fra i più famosi
possiamo ricordare il Sassicaia (Cabernet Sauvignon prodotto nel Sud
della Toscana, presso Bolgheri) che può esserne considerato il
capostipite, anche se per la precisione ora è un "ex", essendo stata
creata una D.O.C. apposta per lui; il Tignanello, che è il prototipo di
tanti grandi vini creati dalla congiunzione di Sangiovese e Cabernet
Sauvignon. E proseguendo si possono ricordare Ornellaia e Solaia, e poi
elencare tanti grandi esempi di uvaggi bordolesi (Cabernet Sauvignon e
Merlot), talvolta arricchiti di Petit Verdot e Syrah. L'ultimo esempio è quello dei Sangiovesi in purezza, che con le nuove
regole della D.O.C.G. (dove G. sta per Garantita) potrebbero essere
chiamati Chianti, cosa che la stragrande maggioranza dei produttori per
ora si guarda bene dal fare.
Per riassumere e concludere, i Super-Tuscan hanno assunto il ruolo di "motore" per il
rinnovamento della enologia Toscana, e grazie alla loro creazione è
ripartita la ricerca verso una produzione vinicola di qualità che era
stata bloccata da legislazioni inadeguate. Non solo: sul loro stile sono
stati prodotti in tutta Italia vini di grande livello che sono rimasti
fuori dalle relative D.O.C.
A
questo punto rimane da chiedersi: come uscire da questa anomala
situazione? È possibile modificare le regole in modo da riassorbire
questi grandi vini "da tavola" nell'ambito di Denominazioni di Origine
Controllata?Il mio pensiero è si, perchè continuando così, avremmo sempre di più vini di fama mondiale con la dicitura vino da tavola, e Docg molto discutibili e di scarso interesse enologico. L'importante è il rispetto dela vigna, e qui mi ricollego all'articolo pubblicato sul "Terroir".
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