Albana di Romagna (1) - Colli Bolognesi classico Pignoletto (4)
La placida regione che si estende lungo la pianura
padana, è conosciuta per la sua ricca cucina, ma anche per i suoi vini bianchi,
rossi, dolci e frizzanti.
Si parla
dell'Emilia-Romagna e subito si pensa alla sua ricca e
opulenta cucina, gustosa,
saporita, esuberante, cordiale e ospitale, proprio come la gente che vive in
questa regione. Non è solo la ricca e variegata cucina di questa regione a
contraddistinguere l'Emilia-Romagna, ma anche arte, cultura e storia, oltre
alla famosa cordialità e ospitalità dei suoi abitanti. In questo contesto così
ricco e complesso, anche il vino trova un suo ruolo ben preciso, qui come
altrove in Italia, la bevanda di Bacco svolge un ruolo fondamentale nella
cultura della regione. La regione è divisa in due aree geografiche e culturali
distinte: l'Emilia, nella parte occidentale, e la Romagna, nella parte
orientale. Le due aree si distinguono non solo per la diversa cucina

- sempre
ricca e gustosissima in entrambe le aree - ma anche per il modo di produrre vino,
e quindi anche per le uve che si coltivano. L'Emilia è la patria indiscussa dei
tanti “Lambruschi”, vini rossi effervescenti - o come sono definiti da queste
parti, bruschi e vivi - che andrebbero meglio valorizzati e rivalutati.
Nella Romagna il vino diviene prevalentemente secco e si produce con le uve
Sangiovese, Albana, Pignoletto e altre varietà.
La
storia della vite e del vino in Emilia-Romagna ha radici che si perdono negli
albori della civiltà e tutto ha inizio, presumibilmente,
con l'uva più celebre dell'Emilia
- la parte occidentale della regione - e dalla quale si produce uno dei vini
italiani più famosi nel mondo: il Lambrusco. Quest'uva selvatica era
nota già ai tempi di Virgilio, e anche Plinio il Vecchio la cita nella sua Naturalis
Historia. È proprio Virgilio a raccontare - nella sua Quinta Bucolica
- che si conosceva dell'esistenza della Vitis Labrusca già da duemila
anni. Plinio il Vecchio riconosce a quest'uva proprietà mediche e ne descrive,
per la prima volta, le caratteristiche. Anche alcune scoperte archeologiche
confermerebbero la lunga storia della Vitis Labrusca, grazie al
ritrovamento di semi e radici fossilizzate di questa specie, databili fra il XX
e il X secolo a.C. Il Lambrusco si
può pertanto definire, a pieno titolo, il
progenitore della viticoltura dell'Emilia-Romagna.
Nonostante
queste importanti scoperte archeologiche, non ci sono tuttavia notizie certe
relativamente all'uso della Vitis Labrusca a quei tempi per la
produzione di vino. Le prime notizie attendibili sulla coltivazione della vite
e la produzione del vino in Emilia-Romagna risalgono al VII secolo a.C.,
all'epoca della civiltà villanoviana di Verrucchio, nei pressi di Rimini. Le
scoperte archeologiche svolte in queste zone hanno infatti consentito di
stabilire con certezza che a quei tempi gli abitanti di quelle terre si
dedicavano alla viticoltura. Altre importanti testimonianze sulla

viticoltura e
sulla produzione di vino in Emilia-Romagna sono inoltre riconducibili all'epoca
del dominio etrusco. Un'altra importante testimonianza è offerta da Varrone nel
suo De Re Rustica, dove si racconta che nella valle del Po, in seguito
ad opere di bonifica, si coltivavano Albana, Trebbiano, Cagnina e Spergola,
varietà che producevano uva in abbondanza. Durante il dominio dei Galli, la
viticoltura non si svilupperà significativamente e si dovrà attendere l'arrivo
degli antichi Romani per dare inizio a un importante sviluppo della
coltivazione della vite e della produzione di vino. La viticoltura
conosce un nuovo sviluppo a partire dal V secolo d.C. e risale a quest'epoca
l'introduzione dalla Dalmazia della varietà Refosco Terrano, conosciuto in
Emilia-Romagna con il

nome di Cagnina. A seguito delle invasioni longobarde,
qui avvenute nel 568 d.C., la vitivinicoltura conosce un periodo di recessione
e sarà solo grazie all'opera dei diversi ordini religiosi, qui come altrove in
Europa, che la coltivazione della vite e la produzione di vino sarà preservata
da ulteriori recessioni. Un significativo contributo alla vitivinicoltura di
questa regione sarà svolto dall'ordine dei monaci benedettini, soprattutto nei
pressi di Ferrara, dalla quale attività, più tardi, prenderà origine la
viticoltura di Bosco Eliceo. Interessanti sono i documenti scritti in epoche
successive, nei quali si fa riferimento alle varietà presenti nel territorio
dell'Emilia-Romagna,
in particolare ai Lambruschi. A partire dal XVII
secolo, sono numerosi i documenti che descrivono le diverse varietà di
Lambrusco, che a quei tempi da vite selvatica è oramai divenuta una
varietà addomesticata, ampiamente utilizzate per la produzione di vini bruschi
e frizzanti.
Si
giungerà così al 1800 quando, qui come altrove, l'arrivo della fillossera
segnerà un arresto della viticoltura. In questo contesto, è singolare il caso
che si verificò nel delta del Po, nei pressi dell'odierno territorio della DOC
Bosco Eliceo, dove i vigneti di uva Fortana furono risparmiati da questo
parassita e, ancora oggi, sono innestate su piede franco e non su varietà di
origine americana. Con la fine della mezzadria, nel 1900, si costituiranno in
Emilia-Romagna, come in altre regioni d'Italia, piccole proprietà

di privati e
diverse cooperative di produttori, segnando l'inizio di una produzione
caratterizzata dalla quantità e che vedrà protagonista, in particolare, i vini
prodotti con le diverse varietà di uve Lambrusco. Questo lungo periodo di
produzioni basate esclusivamente sulla quantità, segnerà anche il destino del
Lambrusco. Se è vero che l'enorme produzione di questo vino ha consentito al
Lambrusco di essere conosciuto ovunque nel mondo, e in particolare negli Stati
Uniti d'America, la discutibile qualità di queste produzioni ha generato la
convinzione diffusa che con quest'uva si producono solamente vini ordinari.
Questo pregiudizio è evidentemente smentito dai vari esempi di produzioni di
qualità e che riguardano il Lambrusco.

Mentre
le cantine dell'Emilia-Romagna erano intente alla produzione di grandi quantità
di vino, negli anni 1960 alcuni produttori cominciarono a intraprendere il
cammino della qualità, una decisione, forse, troppo anticipata rispetto ai
tempi. Nel 1962, con lo scopo di tutelare l'immagine del vino della Romagna, si
costituisce a Faenza il “Consorzio Vini Tipici Romagnoli” che diventerà più
tardi “Ente Tutela Vini di Romagna”, contraddistinto dall'inconfondibile
marchio del “Passatore”, Stefano Pelloni, il celebre brigante romagnolo vissuto
nel 1800. Nel 1970 viene fondata un'altra importante istituzione, l'Enoteca
Regionale Emilia-Romagna, che ancora oggi, per legge, ha il compito di
promuovere i vini di questa regione. Il cammino della qualità dei vini
dell'Emilia-Romagna seguirà negli ultimi anni due strade praticamente
parallele, nelle quali si cercherà di rivalutare sia le varietà autoctone della
regione, sia introducendo in maniera piuttosto massiccia i vitigni cosiddetti
“internazionali”, spesso

utilizzati insieme alle varietà locali.
I vini
dell'Emilia-Romagna sono classificati in accordo al sistema di qualità in
vigore in Italia, dove, al livello più basso del sistema, si trovano i Vini da
Tavola, seguiti dai vini a Indicazione Geografica Tipica (IGT), Denominazione
d'Origine Controllata (DOC) e Denominazione d'Origine Controllata e Garantita
(DOCG). Attualmente in Emilia-Romagna sono definite 18 aree a Denominazione
d'Origine Controllata e due a Denominazione d'Origine Controllata e garantita
riconosciuta all'Albana di Romagna, primo vino bianco italiano a raggiungere
questo traguardo e Pignoletto classico colli bolognesi. Le 18 aree DOC
dell'Emilia-Romagna sono: Bosco Eliceo, Colli Bolognesi, Colli di Imola, Colli
di Faenza, Colli di Parma, Colli di Rimini, Colli di Scandiano e di Canossa,
Colli Piacentini, Colli Romagna Centrale, Gatturnio, Lambrusco di Sorbara,
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Salamino di Santa Croce,Modena,
Ortrugo, Romagna, Reggiano, Reno.
In
Emilia-Romagna la produzione di vino riguarda l'intero territorio regionale, dai
confini occidentali fino all'estremità orientale della costa del mare
Adriatico. Nonostante l'enologia regionale sia orientata alla produzione di
vini da uve autoctone, qui la presenza di varietà “internazionali” è piuttosto
rilevante, utilizzate sia in purezza, sia miscelate con le varietà locali.
L'enologia dell'Emilia - la parte occidentale della regione - è
tradizionalmente legata alla produzione di vini frizzanti, prevalentemente
dalle diverse varietà di Lambrusco. Nella parte orientale della regione - la
Romagna - la produzione è prevalentemente dedita ai vini secchi e dolci, sia
bianchi, principalmente con le uve Albana, Pignoletto, Trebbiano Romagnolo e
Pagadebit (Bombino Bianco), sia rossi, principalmente da uve Sangiovese. Fra le
varietà “internazionali” più diffuse in Emilia-Romagna si ricordano:
Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon e Merlot.
L'Albana di Romagna è stato il primo vino bianco
italiano a ricevere il riconoscimento della Denominazione d'Origine Controllata
e Garantita (DOCG), riservato solamente agli stili secco, amabile, dolce e
passito. Il più alto riconoscimento a questo vino ha da sempre suscitato pareri
discordanti, poiché molti sono stati i detrattori di questa denominazione, per
molti non degna di appartenere al livello più alto della qualità enologica
italiana. Uno dei punti più discutibili del disciplinare di produzione
dell'Albana di Romagna, è rappresentato dal limite massimo di resa per ettaro,
attualmente fissato a 140 quintali, un valore che contrasta chiaramente con i
criteri di qualità enologica e che invece la categoria DOCG dovrebbe assicurare
per legge. Con un limite così alto, in effetti, la qualità ne risente in
modo evidente, e i migliori vini prodotti con questa uva sono quelli ottenuti
con rese piuttosto basse, una scelta adottata solamente dai migliori
produttori. Di particolare interesse è la versione passito, probabilmente i
migliori vini dell'intera denominazione.
Il Lambrusco fra le uve che principalmente
contraddistinguono la produzione dell'Emilia, troviamo la grande famiglia dei
“lambruschi”. I principali rappresentanti di questa famiglia sono il Lambrusco
di Sorbara, Lambrusco Grasparossa e Lambrusco Salamino, ai quali si aggiungono
Lambrusco Marani, Lambrusco Maestri, Lambrusco Montericco e Lambrusco
Viadanese, quest'ultimo tipico della provincia di Mantova, in Lombardia. Il
Lambrusco comincia a vedersi nei vigneti a partire dalla provincia di Parma e
diventa il protagonista quasi assoluto in quelli di Reggio Emilia e di Modena,
aree nelle quali il Lambrusco ha stretto profondi legami con le tradizioni di
questi luoghi e, non da ultimo, con la gustosa cucina. Il vino che si produce
con il Lambrusco è “secco” o “amabile”, tuttavia frizzante, la quale
effervescenza è generalmente ottenuta attraverso la fermentazione naturale.
Nonostante il Lambrusco sia associato all'immagine di vino “ordinario”, sono
molti i produttori che, grazie a criteri di qualità, riescono a produrre vini
di notevole interesse e che andrebbero certamente rivalutati. Il Lambrusco si
esprime ottimamente nelle aree collinari nei pressi del borgo medievale di
Castelvetro - in provincia di Modena - dove si produce il Lambrusco Grasparossa
di Castelvetro DOC.
Sangiovese di Romagna vino rosso in Romagna significa
Sangiovese. Molti ritengono che la terra d'origine di quest'uva sia appunto la
Romagna. Com'è noto, il Sangiovese prende il suo nome da “Sangue di Giove”, e
sono in molti a ritenere che questa definizione derivi dal monte Giove, nei
pressi di Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, dove l'uva era
chiaramente coltivata. I risultati che si ottengono con il Sangiovese nella
terra di Romagna sono estremamente interessanti, pur tuttavia presentando una
diversità organolettica piuttosto varia, da vini leggeri fino a vini di buona
struttura, dal gusto secco e deciso. Il Sangiovese di Romagna è stato il primo
vino rosso della regione ad ottenere la Denominazione d'Origine Controllata
(DOC) e si produce in un territorio piuttosto vasto, dalla provincia di Bologna
fino alla costa orientale del mare Adriatico. Il Sangiovese di Romagna prodotto
nelle migliori colline della denominazione con un volume alcolico non inferiore
al 12%, può utilizzare l'indicazione “superiore”, mentre se sottoposto a un periodo
di maturazione non inferiore ai due anni, può utilizzare in etichetta
l'indicazione “riserva”.
Pignoletto classico dei colli
bolognesi ha ottenuto
la Docg nel 2010. Il
Pignoletto è il nome del vitigno autoctono da
cui si ottiene questo vino unico, delizioso ed esclusivo: è giustamente considerato il "Re
dei Colli Bolognesi".
Di questo vitigno particolarissimo non esistono precise e certe
documentazioni scritte, ma riferimenti sapienti e fondati, tantissimi!! Plinio il Vecchio
nella sua "Naturalis Historia", scritta nel I secolo d.C., afferma di un vino chiamato "Pino Lieto"
che "non è abbastanza dolce per essere buono", e quindi non
apprezzato, poiché è noto che gli antichi romani amavano il vino dolcissimo: da
tali affermazioni si può dedurre che nell'antichità il Pignoletto era già conosciuto. Il vino, ha un bel colore
giallo paglierino scarico con riflessi verdolini e profumo
delicato, fruttato, intenso dei fiori di biancospino, dal sapore secco,
armonico, asciutto ed abbastanza persistente; inoltre è fresco di acidità.
Viene prodotto in varie "vesti": fermo, con caratteristiche e
tipicità inalterate; frizzante a fermentazione naturale; superiore con
gradazione alcolica naturale delle uve del 12% vol. produzione delle medesime,
Altre aree di produzione fra le altre zone di produzione
vinicola dell'Emilia-Romagna, una delle più interessanti è certamente quella
dei Colli Piacentini, nella zona dove fu ritrovato il gutturnium. Si
tratta di un boccale d'argento che ha dato il nome al più celebre vino di
questa zona, il Gutturnio, prodotto con uve Barbera e Croatina, qui detta
Bonarda. Fra i vini interessanti dei Colli Piacentini si ricorda il Vin Santo
di Vigoleno, prodotto in quantità limitate da uve bianche aromatiche e non
aromatiche. Fra le altre zone, si ricorda quella del Reggiano, e in particolare
la denominazione Colli di Scandiano e Canossa, dove - oltre a vini da uve Lambrusco
- si producono interessanti vini anche da uve “internazionali”. Procedendo
verso est, un'altra denominazione interessante è quella dei Colli Bolognesi,
nella quale si producono vini con uve autoctone, fra queste il Pignoletto, e
vini da uve “internazionali”, in quest'area piuttosto diffuse. Di particolare
interesse è la produzione di vini IGT, nei quali spesso le uve autoctone
incontrano i vitigni internazionali, molto spesso utilizzati anche in purezza.
La Gastronomia dell'Emilia Romagna

L'Emilia
Romagna è terra di buongustai e nessun'altra regione può annoverare, con buona
probabilità, così tanti piatti tipici e locali nel novero delle pietanze
assurte al rango di piatto nazionale, rappresentante la tradizione culinaria
italiana all'estero. E non è un caso che qui sia nato Pellegrino Artusi, autore
del celebre "La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene" che, come
dice appunto il titolo positivista, si pregia di gettare le basi per una
gastronomia nazionale scientifica. L'Emilia Romagna è il regno delle paste
all'uovo ed imbottite: lasagne, tortelli, tortellini e cappelletti sono nati
qui! I tortellini sono di solito imbottiti di lombo e prosciutto di maiale,
parmigiano, noce moscata e mortadella, mentre i cappelletti sono farciti con
manzo, cacio, ricotta e parmigiano. Simpatiche variazioni sul tema sono il
timballo di tortellini, con sugo, uova, funghi e melenzane, i tortellini nella lastra, una preparazione
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tortello nella lastra |
forlivese con
imbottitura a base di zucca, patate e, talvolta, spinaci, i cappellacci ferraresi alla zucca, gli anolini,
ovvero dei cappelleti originariamente con carne di asino, i tortelli con le
erbette, di solito spinaci e bieta, i tortelli di patate, i ravioli all'ortica
e gli orecchioni con ricotta e prezzemolo. Queste paste imbottite vengono
condite in modo diverso e differente a seconda dell'imbottitura o della
vocazione regionale: i modi più
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cappellacci |
celebrati sono col brodo, per i tortellini, o
in bianco col burro fuso e il parmigiano, per ravioli e crespelle. E' comunque
invalso l'uso di servire i tortellini anche con la panna o la pancetta o col
rinomato ragù bolognese: questa salsa, simbolo dell'Emilia Romagna
gastronomica, è sicuramente la salsa di pomodoro più famosa della cucina
italiana, insieme al ragù napoletano; si tratta di una complessa preparazione a
base di trita di polpa di maiale, vitello e
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boba di riso |
manzo, soffritta nel burro con la
pancetta, poi sfumata nel brodo nel vino, con l'aggiunta finale del pomodoro
del parmigiano. Il ragù è l'abbinamento tradizionale di lasagne e tagliatelle,
altre celebrate invenzioni emiliano romagnole. Occhio alla lasagna verde di
Bologna e alla lasagna ferrarese, con l'aggiunta di prosciutto e manzo. La
tagliatella, invece, si abbina spesso anche col sugo di castrato, col tartufo o
con la salsa alle noci, alla maniera piacentina. Tipo di tagliatella bolognese
più corta è la gramigna, preparata di solito con un sugo a base di salsiccia.
Da non perdere i
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pisarei e faso |
pisarei e faso, gnocchetti con i fagioli, e le celebri
minestre: i passatelli, la pasta rasa, i manfrigoli e la tardura.
Trimalcioniane e barocche composizioni sono il pasticcio alla ferrarese,
pantagruelica torta imbottita di pasta, ragù, besciamella e tartufo, la bomba
di riso a base di piccioni in umido e rigaglie di pollo e i garganelli,
incredibile minestra con piccioni, gnocchi di zucca e tortelli alle erbe.
L'architettura gastronomica dei secondi rispecchia la stessa grammatica
opulenta e gaudente dei primi. Celebre e gustoso è il cotechino, un must è lo zampone con umido di
lenticchie, ma da provare anche la versione in galera, un'elaborata
preparazione che prevede di imbottire col salume una polpetta gigante di manzo
e prosciutto. Pantagruelica ed aromatica è la salama da sugo, mosaico
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Picaja |
ferrarese
di coppa di collo, pancetta, lardo di gola, fegato, testa e lingua suine
bagnato col sangiovese, marsala e brandy ed aromatizzato con chiodi di garofano
e cannella: la salama viene bollita e servita con purè di patate. Deliziose e
delicate sono lo stufato di manzo al latte, la pasticciata, a base di manzo
brasato nel vino con le verdure, lo stracotto, altro grande brasato con vino e
brodo, le costolette alla modenese, con lardo, pomodorino, uovo e vino bianco e
la cotoletta alla bolognese, fatte
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Asino in umido |
con uovo, prosciutto e
parmigiano; gettonatisimo il coniglio, preparato alla cacciatora romagnola cioè
lardellato e stufato nel vino, o porchettato alla romagnola, con cuore di lardo
e finocchio. Succulenta leccornia suina è il maiale rifreddo, erborinato, con
maionese e radicchio rosso. Strepitose leccornie sono l'agnello facito e la
valigia di manzo, farcite delizie reggiane. Da provare la picaja, ovvero
vitello imbottito di pancetta, il fegato d'agnello all'aceto balsamico e le barzigole. Particolarmente amata la carne bianca:
pollo, tacchino e faraona vengono preparati alla bolognese,
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barzigole di carne di pecora |
con erbe, vino e
rossi d'uova, alla cacciatora romagnola, lardellati e cotti con pancetta e
pomodoro; occhio al polpettone di tacchino, con testina di vitello ed insaccato
nella pelle del volatile. Prelibate la gelatina di pollo e la faraona con
melograno e aceto balsamico. Fra le carni sono assolutamente da provare: la
vecia, peperonata con carne equina; la picula 'd caval, a base di trita equina
in umido; l'asinello in umido, l'anatra in salsa di miele all'agro; il petto d'anatra
alle mele; il cinghiale in umido; la scaloppa di fegato grasso d'oca al
marsala; le lumache in crosta di
 |
Picula 'd caval |
lardo; la sella di coniglio in crosta; la
lepre sfilata, preparata con cipolla, basilico e rosolata nel brodo; le
rinomate trippe romagnole, e più precisamente nelle versioni bolognese,
reggiana e piacentina. Il Delta del Po è il regno dell'anguilla. Innumerevoli
sono le maniere di prepararle: non perdete l'anguilla alla comacchiese,
l'anguilla in umido con uvetta e pinoli e le anguille marinate. Molto amate nel
ravennate sono le rane,
 |
Trippa romagnola |
mangiate in zuppa o fritte e le canocchie farcite.
Notevole la scelta di farinacei. Conosciutissima è la piadina, farcita con
salumi e con lo squacquerone (cremoso formaggio vaccino) e bagnata
da olio di Brisghella. Molto pregiato è il pane di Ferrara, la coppietta. Da
provare il borlengo farcito di lardo e rosmarino, lo gnocco fritto (specialità
modenese e reggiana), le tigelle e il bracciatello.L'Emilia Romagna vanta uno
strepitoso catalogo di materie prime e prodotti tipici certificati: da non
perdere la coppa piacentina, la coppa di Parma, la
mortadella di Bologna,
il prosciutto di Parma DOP, da maiali
selezionati Large White, Duroc e Landrance, il prosciutto di Modena,
il culatello di Zibello
(a base di coscia di
 |
Gnocco modenese |
maiale), lo strolghino (salamino da spalmare), il salame di Felino,
la spalla di San Secondo, il cappello da prete (stinco dissossato e salato), la
mariola (salsiccia fatta con tutte le parti del maiale, anche consumata cruda).
Re dei formaggi è il celeberrimo parmigiano-reggiano.Altri
formagi da menzionare sono: grana padano
dop, formaggio di fossa dop, Furmaièn, Casatella romagnola, Caprino
Montemauro, Caciotte caprine piacentine, Caciotta di Monte Mauro, Caciotta
del Monte Lazzarina. Da provare il savor o
 |
spongata |
mostarda di carpi, originale squisitezza a base
di saba, mosto d'uva cotto con aggiunta di cotogne, mele e scorzette d'arance,
è l'ideale per i bolliti. Marinate con il pregiatissimo aceto balsamico di Modena.
Da provare il tartufo nero di Fragno, quello bianco
di Panfilia e il porcino di Borgotaro. Fra i dolci il re è il panpetato a base
di miele, mandorle, cacao, cannella chiodi di garafano e
canditi; da provare lo
squacquerone con fichi caramellati, le burriche, i buslanei, i sabadoni, il
certosino, la spongata e le frappe.