giovedì 14 settembre 2017

Barbera, la storia inizia nel Medioevo





Barbera, tra i primi dieci vitigni italiani con 18.500 ettari coltivati. Alle spalle tanta storia, un vitigno legato alle tradizioni contadine, simbolo della viticoltura piemontese, ma grazie alla sua capacità di adattamento viene coltivato in altre regioni, tra cui Lombardia nell’Oltrepò pavese, Emilia Romagna nel Piacentino ed ancora Veneto, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Seguendo l’immigrazione italiana lo troviamo anche in California, Uruguay e Argentina dove è uno dei vitigni più coltivati.
Ma si dice la barbera o il barbera? Gli esperti dicono più spesso la
Nizza
barbera, ripetendo l’uso locale piemontese. Gli scrittori famosi si dividono: Carducci la declina al femminile, come pure Pascoli e Paolo Monelli. Mario Soldati, Emilio De Marchi al maschile; Giorgio Gaber non si sbilancia. Nel linguaggio corrente, quando lo si nomina al maschile, si vuole indicare il vitigno, mentre quando lo si coniuga al femminile si vuole identificare direttamente il vino.
Originario del Monferrato, si ipotizza la sua coltivazione fin dal Medioevo nascosto sotto diversi sinonimi, la sua più antica attestazione risale al 1249 in un contratto d’affitto conservato presso l’archivio capitolare di Casale Monferrato dove si parla di “viti barbesine”. Ed ancora nel catasto di Chieri del 1514, mentre la

prima descrizione del vitigno e della sua diffusione risale ai primi anni dell’Ottocento, grazie a Giorgio Gallesio, secondo cui la Barbera era coltivata soprattutto nel suo triangolo d’oro, ovvero il territorio delimitato dai fiumi Tanaro e Belbo, con i comuni di Agliano Terme, Castelnuovo Calcea, Costigliole d’Asti, Mombercelli e paesi limitrofi fino a Nizza Monferrato a sud e Asti a nord. Nei primi decenni del Novecento, la ricostruzione dei vigneti piemontesi dopo la distruzione della filossera, ebbe come protagonista principale proprio il Barbera, un vitigno scelto spesso dagli agricoltori per rusticità, costanza di produzione, alto contenuto in zuccheri, sostanze coloranti e acidità. Un vino adatto a essere venduto nei mercati e nelle osterie che venne associato al concetto di consumo di massa.
Il vero riscatto della Barbera è avvenuto solo recentemente, negli ultimi trent’anni, grazie a produttori come Arturo Bersano e dopo lo scandalo del metanolo un altro grande personaggio, Giacomo Bologna, con l’introduzione del legno per affinare il Bricco
Uve barbera vinificato in bianco
dell’Uccellone rivoluzionò per sempre il modo di vinificare questo vitigno. Ed ancora enologi come Giuliano Noè e personaggi come Veronelli e Mario Soldati hanno permesso di far emergere tutte le potenzialità di questo grande vino. Vitigno estremamente generoso e versatile in quanto permette di dare vita a diverse tipologie, frizzante, rosso fermo e passito. Tre Docg, Barbera d’Asti, Barbera del Monferrato superiore, Nizza che fino al 2016 è stata una sottozona con Tinella e Colli Astiani; 35 vini doc e concorre alla produzione di 105 Igt.
La Barbera è un vino piacevolissimo, dal colore rosso rubino, brillante e profondo, netti profumi di frutta rossa, dapprima croccanti ed in seguito maturi, fiori e quel tanto di spezie per renderla intrigante. In bocca è immediata con tannini decisi, mai troppo aggressivi, un corpo snello - spesso nervoso - e un’acidità incredibile. La sua forza è la bevibilità: si può bere una Barbera leggera come aperitivo o in accompagnamento per i classici antipasti piemontesi, uno su tutti il

“Cappello da prete” in lunga cottura,
il suo ristretto al vino Barbera invecchiata

vitello tonnato, ma anche con semplici salumi. La tipologia Superiore grazie al suo passaggio in legno si arricchisce di note speziate e può essere servita con piatti più elaborati. Un ideale abbinamento con la “bagna cauda” piemontese.

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