martedì 9 maggio 2017

Malvasia delle lipari....Vino dei vulcani, nettare degli dei...




Vino dei vulcani, nettare degli dei... Da oltre due secoli le definizioni si sprecano per questo vino dolce e ambrato da dessert, tra i più conosciuti e rinomati d’Italia.
 Sono isole di sole e di vento, le “sette sorelle”, dove gli abitanti hanno forgiato la loro identità e tradizione rimasta immutata nel corso dei secoli. Ricche di caratteristiche ci propongono: villaggi preistorici a Lipari, tesori archeologici a Panarea, Filicudi e Alicudi, fitta vegetazione a Salina e imponenti vulcani a Stromboli e Vulcano.
Si chiama Malvasia delle Lipari, cioè delle Eolie, ma in realtà, da sempre, viene prodotta soprattutto a Salina, l’isola più verde e agricola delle sette che compongono l’arcipelago siciliano.
Qui, secondo lo scrittore Guy de Mapassant, il vitigno fu importato dai greci nel 588 a.C. e qui è sempre stato coltivato con successo, tanto da rendere l’isola ricca al punto che Salina è l’unica dell’arcipelago a non dipendere amministrativamente da Lipari, ma anzi ad avere sul suo piccolo territorio ben tre microscopici Comuni.
Nell’Ottocento, secolo in cui il commercio di Malvasia raggiunse il culmine, il vino veniva smerciato in tutta Europa e aveva tra gli inglesi di stanza a Messina i suoi più
Vigne a Salina
fedeli ammiratori, insieme allo scrittore francese Alexandre Dumas padre che nel resoconto del suo viaggio nelle Eolie scrisse “Venne portata una bottiglia di Malvasia delle Lipari; fu il vino più eccezionale che abbia mai assaggiato nella mia vita”.
Poi, come nel resto del continente, anche a Salina arrivò la fillossera che distrusse i vigneti e si dovette aspettare fino agli anni Settanta del Novecento per assistere alla rinascita della Malvasia, tutelata con la Doc a partire dal 1973. Artefice della nuova fortuna è stato Carlo Hauner, pittore bresciano di origine boema, che s’innamorò di Salina e vi si trasferì incominciando a coltivare la Malvasia secondo gli insegnamenti di antichi testi e dei contadini locali.
Secondo il disciplinare, per la produzione di Malvasia delle Lipari devono essere impiegate uve Malvasia in purezza o con una piccola percentuale (massimo 5%) di Corinto Nero. Oltre a una versione da tutto pasto (poco interessante), la Malvasia delle Lipari liquorosa può essere passita, naturale (in questo caso i grappoli vengono lasciati maturare solo sulla pianta e non vengono stesi sui graticci per l’appassimento) o liquorosa (addizionata con alcol).
La pianta prospera sui terreni di origine vulcanica dell’isola, tanto che Maupassant
Malvasia delle lipari
definì la Malvasia delle Lipari “vino dei vulcani”.
Per la versione tradizionale, quella passita, l’uva viene raccolta in avanzato stato di maturazione ed esposta al sole sui graticci per due settimane, in modo da perdere ulteriore acqua a favore della concentrazione degli zuccheri.
Il vino ha un colore dorato con riflessi ambrati e un sapore dolce, molto aromatico, delicato, vellutato, quasi mielato, caratteristiche che gli hanno valso il soprannome di “nettare degli dei”.
La Malvasia delle Lipari a tavola si serve a una temperatura di 10° come vino da
dessert, in abbinamento a dolci di mandorla, crostate con marmellata, biscotti e piccola pasticceria a base di creme e frutta. Si può bere anche con la macedonia o sorseggiare, in compagnia, a fine cena.     
Le Eolie devono il loro nome ad Eolo, Dio dei venti, che qui, secondo Omero, aveva il suo regno. Chi oggi arriva alle isole non può che meravigliarsi di fronte a queste incantevoli opere di vulcani sempre attivi, che con i loro strapiombi sul cristallino mare ci offrono unici panorami.
 









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