“Barolo del Sud”: ecco come Hugh Johnson,
autore del libro “Atlante dei vini”, vera e propria bibbia degli amanti del
vino, definisce senza esitazione il Cirò. Prodotto in tre tipologie diverse,
Rosso, Rosato e Bianco, il Cirò si distingue per il suo profumo fruttato ed
avvolgente, e per il sapore intenso ed equilibrato.
Un po’ di storia e zona di produzione del Cirò
La storia del vino Cirò affonda le sue
radici nella notte dei tempi.
Secondo le fonti più attendibili pare che i coloni greci, sbarcando sulle coste calabresi, rimasero colpiti
dalla estensione dei terreni dedicati alla cultura della vite, e contribuirono
a tutto ciò importando dalla madrepatria dei vitigni di origine, appunto, ellenica. Fra essi, nelle zone di
Sibari e Crotone, venne introdotto il cosiddetto “Krimisa” (noto anche come “Cremissa”), che a tutt’oggi viene
considerato l’“antenato” dei
vitigni attualmente coltivati. Fra gli altri vitigni introdotti furono anche il
Gaglioppo e il Greco Bianco, vere e proprie spine
dorsali dell’attuale produzione di Cirò. Pare che il Krimisa fosse talmente apprezzato dall’antichità da essere
considerato il “vino ufficiale”
delle Olimpiadi, offerto ai vincitori delle competizioni. Una sorta di sponsor ante litteram, insomma, che fu
riportato in auge nel 1968 in
occasione dei Giochi Olimpici tenutisi a Città del Messico. In quell’occasione, andando a ripescare
l’antica tradizione legata al
Krimisa, il Cirò venne offerto a tutti gli atleti impegnati nelle competizioni come gesto evocativo del passato. Naturalmente, oltre al valore simbolico legato a questo gesto, le motivazioni erano anche quelle di consentire al grande pubblico di venire a conoscenza del Cirò e di rilanciarne pertanto l’immagine (all’epoca un po’ sbiadita) sul panorama internazionale. La storia del Cirò, infatti, fu caratterizzata dall’insorgenza di veri e propri periodi bui. Fra i più gravi, il primo fu la decadenza della Magna Grecia e della sua cultura, che inevitabilmente portò ad una riduzione e ad una “barbarizzazione” della viticultura calabrese; fra le crisi più recenti, di rilevante entità è quella legata al parassita della fillossera che, nel diciannovesimo secolo, mise a repentaglio la sopravvivenza stessa dei vitigni non solo in Calabria, ma in tutta Europa. Negli ultimi tempi il Cirò sta vivendo una stagione di forte rilancio, dovuta anche al riconoscimento della DOC (Denominazione di Origine Controllata) che avvenne nel 1989. Il Disciplinare identifica tre precise tipologie di Cirò: Rosso, Rosato e Bianco. Il vino Cirò inoltre, per fregiarsi della denominazione DOC, deve essere prodotto nei territori di comuni di Cirò, Cirò Marina e in parte dei comuni di Melissa e Crucoli. Tutte le operazioni di vinificazione, inoltre, devono essere compiute all’interno di questa precisa area geografica. A quei vini provenienti da uve prodotte e vinificate nei territori comunali dei
paesi di Cirò e di Cirò Marina il Disciplinare riserva inoltre la qualifica
aggiuntiva di “Classico”. Prodotto
dunque sin dall’antichità, il Cirò è un vino apprezzato non solo per le sue
caratteristiche organolettiche, ma anche per le sue virtù che erano definite addirittura terapeutiche. Fonti storiche riferiscono di affermazioni
pronunciate da stimati medici,
che dichiaravano “il Cirò è un tonico
opulento e maestoso per la vecchiaia umana che vuole coronarsi di verde ancora
per anni”, e che definivano questo vino nientemeno che “un sicuro cordiale per chi vuole recuperare
le forze dopo una lunga malattia”. Naturalmente, queste affermazioni
derivano più da un apprezzamento
di tipo personale nei confronti
del Cirò che da effettive evidenze scientifiche, ma fanno capire quanto attaccamento il popolo calabrese ha
sempre manifestato nei confronti di questo eccellente prodotto.
Krimisa, il Cirò venne offerto a tutti gli atleti impegnati nelle competizioni come gesto evocativo del passato. Naturalmente, oltre al valore simbolico legato a questo gesto, le motivazioni erano anche quelle di consentire al grande pubblico di venire a conoscenza del Cirò e di rilanciarne pertanto l’immagine (all’epoca un po’ sbiadita) sul panorama internazionale. La storia del Cirò, infatti, fu caratterizzata dall’insorgenza di veri e propri periodi bui. Fra i più gravi, il primo fu la decadenza della Magna Grecia e della sua cultura, che inevitabilmente portò ad una riduzione e ad una “barbarizzazione” della viticultura calabrese; fra le crisi più recenti, di rilevante entità è quella legata al parassita della fillossera che, nel diciannovesimo secolo, mise a repentaglio la sopravvivenza stessa dei vitigni non solo in Calabria, ma in tutta Europa. Negli ultimi tempi il Cirò sta vivendo una stagione di forte rilancio, dovuta anche al riconoscimento della DOC (Denominazione di Origine Controllata) che avvenne nel 1989. Il Disciplinare identifica tre precise tipologie di Cirò: Rosso, Rosato e Bianco. Il vino Cirò inoltre, per fregiarsi della denominazione DOC, deve essere prodotto nei territori di comuni di Cirò, Cirò Marina e in parte dei comuni di Melissa e Crucoli. Tutte le operazioni di vinificazione, inoltre, devono essere compiute all’interno di questa precisa area geografica. A quei vini provenienti da uve prodotte e vinificate nei territori comunali dei
Gaglioppo |
Vitigni utilizzati e invecchiamento del Cirò
I vitigni
autorizzati per la produzione del Cirò sono tre:
- Gaglioppo
- Greco Bianco
- Trebbiano Toscano
Il Gaglioppo è un vitigno diffusissimo sia nel
resto della Calabria che in varie regioni dell’Italia meridionale, ed è conosciuto
anche coi nomi di Mantonico Nero
e Magliocco. Si tratta di un
vitigno resistente e dalla maturazione precoce, che cresce in modo disinvolto
anche sull’aspra e siccitosa terra calabrese, ed è questa una delle ragioni
principali del suo successo. Il vitigno conosciuto come Greco Bianco ha la sua origine in
Tessaglia, e conferisce al vino sentori fruttati ed uno spiccato colore
paglierino-dorato; il Trebbiano Toscano, infine, è un vitigno molto diffuso su tutto
il territorio nazionale e che viene impiegato per la produzione di
numerosissime tipologie di vino grazie alla sua adattabilità nei confronti del
terreno e del clima, alla buona produttività per ettaro ed alla relativa
“neutralità” del suo sapore.
Il Cirò, nelle sue varietà Rosso e Rosato, viene prodotto con uve provenienti da vitigni Gaglioppo
e, in una misura massima del 5%, da Trebbiano Toscano e Greco Bianco. Il Cirò Bianco deve essere invece ottenuto interamente da uve Greco Bianco,
per le quali è ammessa un’aggiunta massima del 10% di uve Trebbiano Toscano.
Il Disciplinare di produzione stabilisce
inoltre limiti ben precisi: la resa
massima di uva ammessa per la produzione dei vini Cirò Rosso e Rosato non deve superare i 115 quintali per ettaro, mentre per il Cirò Bianco il limite è di 135 quintali per ettaro, pena
l’esclusione dalla DOC. La resa massima
delle uve in vino non deve inoltre superare il 70% per il Cirò Rosso
e Rosato, ed il 72% per il Cirò Bianco.
La messa in commercio del Cirò è
autorizzata solo a partire dal 1°
giugno dell’anno successivo
alla vendemmia. La tipologia “Rosso”,
in particolare, presenta un periodo di invecchiamento obbligatorio stabilito in
un tempo di nove mesi. Il Cirò,
ed in particolare le buone annate di questa tipologia, si presta abbastanza
bene ad un ulteriore invecchiamento in
bottiglia, fino in genere a 6–8 anni. Se l’invecchiamento viene
protratto per almeno due anni,
calcolati a partire dal 1° gennaio successivo all’annata di produzione delle
uve, in etichetta può essere riportata la qualificazione “Riserva”.
Caratteristiche organolettiche e chimiche del
Cirò
Il Rosso e Rosato presentano colore rosso-rubino più o meno
intenso; il profumo è
intensamente vinoso, ma delicato e gradevole; il sapore è caldo, corposo, armonico e tende a diventare sempre più
spiccatamente vellutato col procedere dell’invecchiamento. Queste tipologie di
vino presentano una alcolicità relativamente elevata: la gradazione alcoolica
minima complessiva è, infatti, di 13°.
Qualora, tuttavia, all’atto della messa in vendita il vino avesse una
gradazione alcolica superiore ai 13.5°,
questo può fregiarsi in etichetta dell’attestazione “Superiore”. Mentre l’acidità totale
deve essere per entrambe le tipologie del 5 per mille, l’estratto secco netto minimo per Rosso e Rosato è, rispettivamente, del 20 e del 17 per
mille.
Il Cirò Bianco presenta un bel colore giallo paglierino, più o meno
intenso; il suo profumo è
fruttato, gradevole e spiccatamente vinoso, mentre al palato il suo sapore è secco, delicato ed armonico.
Il suo titolo alcolometrico volumico minimo è di 11°; l’acidità totale minima è del 5 per mille, mentre l’estratto secco netto minimo è del 16 per mille.
Il Cirò, nelle sue varietà Rosso e Rosato, si presta bene ad accompagnare piatti a base di selvaggina, arrosto, carni rosse.
Molto adatto anche ad essere servito con carni alla brace o alla griglia, si
sposa bene anche a primi piatti con condimenti saporiti (sughi a base di carne o insaccati). La temperatura
ideale di servizio è compresa fra 18
e 22°C.
Il Cirò Bianco, invece, è un ottimo aperitivo; servito freddo, ad una temperatura di 12°C circa, rinfresca il palato ed
accompagna in modo eccellente il pesce,
che esso sia sotto forma di antipasti, primi piatti, tagliate, crudité o specialità al forno.
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